Assaggi musicoletterari - nr.5 Bauhaus "Hollow Hills"
In una zona remota, su di un alto promontorio, si trovava la grande casa di legno, dal tipico tetto a doppio spiovente con le falde molto inclinate. Se Rain si fosse trovata in quel luogo avrebbe notato, nel buio della notte che avvolge l’abitazione, una fioca e tremolante luce fuoriuscire timidamente da una delle sue finestre e farsi strada nell’oscurità. E avrebbe anche scorto la sua sagoma, muoversi fra le stanze di quella vecchia e solitaria casa con la sola compagnia dei suoi ricordi.
Non era strano che anche quella notte l’animo dell’uomo fosse inquieto; nel corso degli ultimi anni si era convinto del fatto che, oltre al cibo, fossero la rabbia e il rancore a tendere le sue membra e dar loro vigore. Erano questi sentimenti a tenerlo in vita e a dargli la forza necessaria per proseguire con lucidità la sua ricerca.
La cera bianca scivolava lungo le candele poste sugli alti candelabri, accumulandosi sul pavimento sottostante; una musica cantilenante e ossessiva scandiva il ritmo della sua insonnia, percorrendo morbidamente i bordi di una memoria appannata ma non del tutto perduta. A volte credeva che se non avesse più quelle poche fotografie che gli erano rimaste di lei, l’immagine di quel volto si sarebbe dissolta fra i labirinti della sua mente; ma poi si diceva che no, non avrebbe mai potuto dimenticare i grandi occhi neri nei quali si rifletteva un mondo che non era stato clemente con nessuno di loro due.
Camminava avanti e indietro, percorrendo più e più volte la lunghezza della sala, con in mano un bicchiere di cognac ambrato dalle sfumature dorate. Era sempre stato un esteta, gli piaceva contornarsi di cose belle e la sua casa, difatti, ne era piena. Sui mobili antichi di legno d’ebano finemente intarsiato, erano esposti oggetti provenienti da diversi luoghi del mondo, tutti quelli che aveva visitato o nei quali aveva vissuto. Sulle pareti spiccavano tele dall’incontestabile fascino, incastonate in cornici la cui bellezza pareva voler superare quella dei dipinti da esse racchiusi.
Si avvicinò a una delle finestre della camera e scostò le tende di velluto e raso; fuori aveva preso a infuriare una tormenta ed egli pensò che gli sarebbe piaciuto correre fuori e urlare tutta la sua collera insieme al vento. Scorse, senza volere, il suo riflesso sulla superficie riflettente del vetro che gli stava dinnanzi e sorrise ironicamente a se stesso, assaporando insieme con un sorso di cognac il gusto amaro della sua prigionia. Ma presto o tardi la vita gli avrebbe concesso il momento e il modo di dar corso alla sua vendetta, e sarebbe stata più dolce del liquore che stava sorbendo. Tutti quegli anni di attesa l’avrebbero ripagato, risarcendolo per ogni singolo minuto di quell’esilio forzato. Il suo volto continuava a osservarlo dal vetro ed egli, stavolta, si compiacque di se stesso: era bellissimo e ne era perfettamente consapevole. I suoi occhi azzurri brillavano di una luce infida che traeva energia dall’ira repressa; i suoi capelli, biondi come l’oro, incorniciavano un viso spigoloso ma regolare, per ricadere in boccoli che finivano per posarsi sulle sue ampie spalle in maniera ordinata. La sua pelle perlacea sembrava emanare un’iridescenza propria, in netto contrasto con il nero dei suoi abiti scelti con estrema cura, come se attendesse l’arrivo di ospiti illustri per dar luogo a un banchetto.
Invece era completamente solo. Non gli piacevano gli esseri umani, eccetto che in poche e specifiche occasioni.
Nessuno varcava mai la soglia di quella casa in cui aveva deciso di rinchiudersi. Solo qualche servitore, assoldato per aiutarlo nella ricerca, compariva di tanto in tanto per fargli rapporto. Di solito, però, preferiva affidarsi a se stesso e alle informazioni che traeva dalla “Stanza degli Specchi”, come amava chiamarla. Situata all’ultimo piano di quella grande e silenziosa abitazione era una camera nella quale egli amava trascorrere quasi tutto il suo tempo senza mai stancarsi di spostare continuamente il suo sguardo, speranzoso e mai rassegnato, da uno specchio all’altro.
In realtà non si trattava di veri specchi ma di monitor collegati a dei computer, su cui apparivano le immagini catturate da webcam situate in diverse città del mondo. Spendeva così intere giornate, nonché notti insonni, scrutando fra la moltitudine di persone che camminavano per le strade ignorando di essere oggetto di tale e tanta attenzione. Aveva osservato centinaia di migliaia di volti, senza mai imbattersi in quello di lei. Viveva, così, nella solitudine e nell’attesa di ritrovare la donna dalla quale si era separato per svelarle, finalmente, la verità di cui lui era l’unico e il solo detentore.
Non sapeva che un soffio di quel vento algido che congelava le parti della sua casa, superando le barriere degli spazi e delle distanze, l’aveva già raggiunta e che presto ci sarebbe riuscito anche lui.
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